Nicola Spinosa
Bernardo Cavallino e il suo tempo 1616 – 1656
Pagine: 600 circa
Illustrazioni: 190 a colori / 300 bianco e nero
Rilegatura: cartonato con cofanetto
ISBN: 88-7003-054-7
Disponibilità: esaurito
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“Se per la corta vita di Girolamo Santacroce restò la nostra patria afflittissima, perduto avendo un suo eccellentissimo artefice di scultura, per la brevissima di Bernardo Cavallino ella dovette piangere quanto di ornamento e di onore poteva mai sperare da un raro e compiuto professor di pittura, imperciocché, o si riguardi la perfezione ed accuratezza del disegno, o l’ottimo componimento delle parti, accompagnato da nobile ed eccellente impasto di colore, ei sembra quasi impossibile che altri mai rinomato pittore d’ tempi nostri (scarsi invero di grandi artefici) possa agguagliarlo”. Così il De Dominici, nelle sue celebri Vite de’pittori, scultori ed architetti napoletani, edite alla metà del Settecento, inizia a narrare, tra realtà e fantasia, la vicenda biografica di Bernardo Cavallino, raffinato pittore di storie sacre e profane, quasi tutte per committenti e collezionisti privati, che, nato a Napoli nel 1616 e attivo verosimilmente ancora dopo il 1650, Mattia Preti, a dire del biografo settecentesco, avrebbe definito, per taglio compositivo, eleganza formale e preziosità di rischiarate stesure cromatiche della sua produzione avanzata, “il Pussino de’ napoletani”.
Sebbene, come nel caso di altri artisti napoletani dei quali il De Dominici tracciò la biografia, anche quella di Bernardo Cavallino sia risultata in gran parte imprecisa, infondata e fantasiosa, ancora oggi alcune sue annotazioni critiche su dipinti che il biografo ebbe modo di visionare presso varie raccolte napoletane, risultano acute, adeguate e pertinenti. Come quando, per descrivere lo stile del pittore precisa: “Unendo perciò a quella [del Rubens] la maniera di Massimo [Stanzione], venne a comporre la sua bella ed erudita maniera, che ad un tempo istesso sembra dolce, gentile e delicata, ma con grande artificio di chiaro scuro, e con grandi sbattimenti di lumi e di ombre, grave e robuste, servendosi egli di un sol lume che, terminando per lo più nel mezzo, viene a dar loro una gravità e un decoro indicibile, oltre alla grazia naturale nella distribuzione di esso, nella qual parte fu il Cavallino singolare, …”.
“Bella ed erudita maniera”, uso sapiente delle luci e delle ombre a dare concretezza e verità alle immagini dipinte, senza privarle di “grazia naturale”, anche per delicatezza nelle stesure di prezioso colore: queste le qualità riscontrate e indicate nell’opera di Cavallino anche dalla critica moderna: dai primi contributi d’inizio Novecento del Voss e dell’Hermanin, che, seguiti, seppur da angolazioni e con esiti diversi, dal De Rimaldis, del Longhi e dell’Ortolani, portarono, alla metà del secolo scorso, ad più accorta, puntuale e illuminante lettura della sua produzione, condotta, pur nella sostanziale assenza o persistente pochezza di sicuri dati documentari, su nuove e più estese basi conoscitive, da Ferdinando Bologna e da Raffaello Causa.
Conseguenza di quegli studi fu nel 1984-1985 la mostra monografica sul pittore che, curata da Ann Tzeutschler Lurie, Ann Percy e Nicola Spinosa, ebbe come prima sede il Museum of Art di Cleveland (Ohio) e, con la presenza di opere di artisti stilisticamente affini a Cavallino, come seconda sede il Museo Pignatelli di Napoli.
In quella occasione furono documentati con sufficiente ampiezza gli inizi del pittore, fissati, alla metà degli anni Trenta del Seicento, in area naturalista, i successivi sviluppi condotti, determinati dalla conoscenza di esempi di Simon Vouet a Roma e, a Napoli, di Artemisia Gentileschi e di Massimo Stanzione in chiave di moderato ed elegante classicismo; nonché le aperture, nei primi anni Quaranta, verso soluzioni d’impreziosita resa pittorica, nei modi delle correnti del ‘neovenetismo’ in area mediterranea (con precisi riferimenti alla produzione di Giovan Benedetto Castiglione intorno al 1630) e l’approdo finale – dopo il 1645, che è l’anno segnato sulla tela del Museo di Capodimonte con l’Estasi di Santa Cecilia, unica opera datata finora nota di Cavallino, e nei rpimi anni Cinquanta – a composizioni di studiata e sostenuta eleganza formale e compositiva, di sontuosa intensità cromatica, per luci rischiarate e ombre colorate, d’intenerita resa sentimentale e di ricercata grazia espressiva. Una pittura colta per una committenza privata dai gusti aulici, raffinati e mondani, che, per taglio compositivo, gioco delle luci e delle ombre, disposizione dei personaggi rappresentati e impianto scenografico, da un lato sembra il risultato del trasferimento sulla tela della scena teatrale contemporanea e dall’atro sembra precorrere, per resa visiva e reazioni emotive, la coltivata sensibilità d’inizio Settecento e la contenuta espressività dei protagonisti del teatro antieroico e melodrammatico di Pietro Metastasio.
A più di venticinque anni dalla realizzazione della mostra di Clevleland e di Napoli, alla quale sono seguite altre rassegne antologiche sulla pittura a Napoli nel primo Seicento e in età barocca, Nicola Spinosa, proseguendo nei suoi studi sullo stesso argomento, torna a occuparsi di Bernardo Cavallino con un contributo monografico sul pittore, nel quale, attraverso una rilettura della sua produzione, le cui conoscenze si sono intanto ulteriormente estese e accresciute, grazie ad altre aggiunte, al catalogo della sua opera nota, di numerosi dipinti identificati in varie raccolte private italiane e straniere o comparsi, in anni recenti, in occasioni di vendite all’incanto o sul mercato antiquario internazionale.
Il contributo di Nicola Spinosa su Bernardo Cavallino, con un saggio sul pittore e le sue relazioni con l’ambiente circostante, dagli anni della formazione giovanile in area naturalista, a contatto con Jusepe de Ribera, il Maestro dell’Annuncio ai pastori e Aniello Falcone, al tempo della piena e avanzata maturità, con riflessi delle tendenze di alcuni francesi a Roma (da Simone Vouet a Nicolas Poussin), seguito da schede critiche delle sue opere, indicative delle diverse e successive fasi della sua attività, si estende, inoltre, anche all’esame della produzione di alcuni pittori che, da Andrea Vaccaro ad Antonio De Bellis, attivi a Napoli negli stessi anni di Cavallino, ne avvertirono, ne accolsero o ne rielaborarono orientamenti estetici e scelte stilistiche, al punto da essere talvolta anche confusi con lui.
All’esame della produzione pittorica di Cavallino e degli altri esponenti della presunta ‘cerchia’ cavalliniana condotto da Nicola Spinosa, il volume si avvale anche di un contributo critico sulla loro produzione grafica, affidato a Cristiana Romalli, nota studiosa del disegno italiano soprattutto in età barocca.